Frisella Festival 5 – 6 July
1 Luglio 2014Eventi Salentini ad Agosto
3 Agosto 2014Espressione originaria del modesto vivere contadino, la gastronomia tipica salentina è cultura, storia, specchio della sua gente e dell’anima del suo popolo. E’ una cucina intimamente legata al territorio e alle stagioni, espressione delle tante dominazioni che si sono avvicendate in queste terre lasciando tracce indelebili nell’arte culinaria; un’arte umile per gli ingredienti usati, genuina perché si avvale delle materie prime più autentiche della terra e saporita poichè impreziosita dalle erbe aromatiche della macchia mediterranea: salvia, rosmarino, timo, maggiorana, menta, origano, finocchietto selvatico ecc.
I piatti proposti dalla nostra tradizione si basano essenzialmente su pochi prodotti della terra: olio, vino, legumi, cereali, ortaggi, verdure (coltivate e selvatiche), sulle tipiche lumache, sul pesce azzurro e sulla carne in particolare quella di cavallo e di agnello.
Un cucina adatta a riscoprire i sapori veri e autentici di un gusto che ha radici antiche, ancora valorizzate in tutte le sue forme autoctone povere e semplici che restituiscono tuttavia preparazione e cibi succulenti e prelibati.
Tante le specificità che differenziano questa tradizione gastronomica rispetto ad altre regioni e per farvele scoprire ho intenzione di seguire una sorta di menù che partendo dagli antipasti, attraverso i primi e i secondi giunge ai deliziosi desserts, molti dei quali richiamano alla mente i profumi bizantini e arabi per la presenza di mandorle, miele e cannella.
Antipasti
Con gli antipasti ecco giungere sulla tavola un vero trionfo di colori e di sapori unici e serviti nelle tradizionali terrine di terracotta: peperoni fritti ,arrosto, in agrodolce e con la “muddhica” ( mollica), i famosi lampasciuni, le melanzane, i carciofini e le zucchine preparate in mille modi diversi e tutti deliziosi, le pittule (frittelle di pasta lievitata), le lumache,i pomodori secchi sott’olio, paparine, cicorie (particolari tipi di verdure che crescono selvatiche, dal sapore dolce e genuino), caroselle sotto aceto e tante altre succulente specialità .
Primi
I primi piatti salentini sono buoni da far leccare i baffi, come si suol dire. Per un salentino rappresentano il legame con la terra natia e anche quando si vive lontano da casa, un buon primo realizzato secondo la tradizione non mancherà mai sulla tavola di chi per lavoro o studio è costretto a vivere lontano da “casa”.
Erroneamente, quando si parla del Salento, si ritiene che il panorama dei primi sia caratterizzato esclusivamente dalle orecchiette con le cime di rape (in realtà questo è un piatto tipicamente barese) o dai ciceri e tria ossia i ceci con una pasta assomigliante a delle pappardelle tagliate a rombo (quest’ultimo era il piatto tipico servito in occasione della Festa di San Giuseppe, in quanto la tria rappresentava i trucioli di legno caduti dal tavolo di lavoro del santo). In realtà, se parliamo di primi piatti nella gastronomia salentina, dobbiamo includere anche altre pietanze come le sagne incannulate, gli gnocchi di patate, le pitte di patate(focaccia di patate farcita), le “fae con le cecore reste” ossia fave sgusciate e trasformate in un delicato pure da accompagnare con verdure lesse (le cicorie appunto), condite con olio extra-vergine di oliva e guarnite con crostini di pane casereccio fritti, la taieddhra (un piatto unico abbastanza semplice da preparare, che unisce al suo interno le cozze, le patate , il riso e le zucchine), frittate e naturalmente i legumi, comunemente chiamati la carne dei poveri perché economicamente più accessibili rispetto alla carne, che in passato si mangiava in rarissime occasioni come Pasqua, Natale o le feste Patronali. Vera e propria prelibatezza della cucina tipica salentina sono i fagioli e ceci alla pignata, ossia cotti nelle caratteristiche pentole in terracotta, ancor meglio se sul caminetto, e la cicerchia, un’antica leguminosa coltivata proprio nell’estremo lembo della regione con cui si prepara una squisita zuppa. Concludo la panoramica sui nostri primi con quello che potremmo definire, insieme alla pasta al forno, il “piatto della domenica” ossia la parmigiana di melanzane(o zucchine) a fette, passate nell’uovo e poi fritte che vengono disposte in una teglia con salsa di pomodoro, basilico, formaggio grattugiato, polpettine, uova sode, formaggio fondente e mortadella a cubetti.
Secondi
Per i secondi piatti aspettatevi altre prelibatezze come “gnemmarieddhi”, involtini di trippa, ripieni e cotti in brodo, li “turcinieddhi”, involtini di interiora di agnello arrostiti alla brace, i “moniceddhi”, lumache di terra dal colore marrone del guscio che ricordava il saio dei monaci e che vengono arrostite o insaporite da un soffritto di cipolla e alloro. Molto apprezzati sono i pezzetti, uno spezzatino di carne di cavallo al sugo piccante cotto nella tradizionale pignata. Ognuno di questi piatti può essere accompagnato dai contorni per cui non si ha che l’imbarazzo della scelta tra melanzane, peperoni e zucchine, una vasta gamma di ortaggi fritti o sott’olio. Le polpette al sugo vengono fatte con carne macinata (maiale oppure mista maiale e vitello), pangrattato uova intere, sale, prezzemolo, sugo, parmigiano grattugiato.
Il Salento, non dimentichiamocene, è terra di mare ed offre delle specialità a base di pesce fresco pescato nelle nostre acque.Fra le ricette, ricordiamo lu purpu alla pignata, ossia il polpo cucinato in umido nel tradizionale contenitore in terracotta ,triglie, aragoste, ricci di mare, cozze nere,dentici, orate, la scapèce, tipica di Gallipoli, ma diffusa in tutte e tre le province salentine, per la quale si utilizza del pesce azzurro, in particolare una varietà chiamata pupiḍḍi, che vengono fritti e conservati in un preparato di pane grattugiato, aceto, zafferano, olio extra vergine d’oliva, il baccalà , consumato per lo più nel periodo invernale e accompagnato da patate o peperoni, la fracaja ossia piccolissimo pesce infarinato e fritto
Pane casareccio e prodotti da forno
Nel Salento il pane viene ottenuto da farine di grano poco raffinate e presenta, dunque, un colore particolarmente scuro a causa della presenza di crusca. Si utilizza il lievito madre e la cottura avviene nel forno di pietra, utilizzando fascine di rami di ulivo che danno al pane un profumo particolare. Altri tipi di pane sono i pizzi leccesi ( dei pani nel cui impasto troviamo pomodoro, cipolla, zucchine, capperi, olive nere e olio), di cui una variante sono le scèblasti tipiche della Grecìa Salentina e il pane con le olive,detto anche puccia, un pane che secondo la tradizione pare abbia origini romane. Difatti con il termine buccellatum (divenuto, nel gergo, buccellatu, poi, per abbreviazione, buccia e infine puccia ) si indicava il pane usato dai militari. La puccia è realizzata usando una farina di grano molto più raffinata rispetto al pane semplice e si ottiene semplicemente aggiungendo le olive leccine (olive nere di dimensioni particolarmente piccole) all’impasto del pane.
Tra i prodotti da forno spicca la frisella o friseddha in dialetto, una specialità molto gustata in estate come piatto fresco e di veloce preparazione. Nasce dall’essiccazione e tostatura del pane di grano duro o di orzo in doppia cottura. Alcune fonti stabiliscono che le origini della frisa risalgono al X sec. a.C., all’epoca della civiltà Fenicia, quando i mercanti durante le loro navigazioni erano soliti consumare ciambelle scure di grano ammorbidite con acqua di mare e insaporite con olio d’oliva, mentre alcune leggende popolari fanno risalire le sue origini al periodo dei Crociati che, come si racconta, partivano dai porti di Leuca, Otranto, Brindisi ed altri porti pugliesi per raggiungere la Terra Santa all’inizio del primo millennio. I numerosi crociati dovevano intraprendere un viaggio in nave che di certo non durava pochi giorni, e quindi era necessario un certo approvvigionamento di cibo che non deperisse velocemente. Difatti, nella memoria degli anziani, la frisa è rimasta con il nome di pane dei crociati. Si dice che la sua forma (rotonda, con il buco al centro) sia nata per ragioni logistiche: bastava passare una cordicella nel buco e trasportarla agevolmente (anche come collana…). Ad ogni modo la frisa era il cibo ideale per il viaggiatore di mare.
((Voglio condividere con voi un mio ricordo di quando ero piccola e andavo al mare con tutta la mia famiglia e gli amici più cari. Ricordo che nelle nostre borse da mare, oltre ai teli, alle pinne e alle maschere, portavamo anche alcune friselle, dei pomodori ,dell’olio e origano. Arrivata l’ora del pranzo, le friselle venivano bagnate direttamente in mare e condite con i pomodori, olio e origano. Non ho più mangiato delle friselle così buone 😀 ))
Altrettanto importanti sono i taralli e i tarallini, croccanti anelli di pasta preparati esclusivamente con farina di grano tenero, olio di oliva, vino bianco e aromatizzati in vari. L’etimologia della parola “tarallo” è alquanto incerta e molte sono state le ipotesi avanzate in tal senso.
La più accreditata è quella secondo cui “tarallo” dovrebbe derivare dalla parola greca “doratos”, “sorta di pane“. Un tempo preparati per essere consumati per strada o durante i viaggi, oggi sostituiscono il pane durante il pasto e sono ideali per un gustoso spuntino, un aperitivo o per un break.
E infine un prodotto da forno preparato nel solo periodo di Pasqua : la puḍḍica o Cuddhura, dal bizantino kollùra, è un tipico dolce pasquale di antichissima origine e diffuso in tutto il Salento, ove da paese a paese, assume le più diverse denominazioni quali: cuddhure cu l’oe, palombe, palummeddhre, panareddhre, ecc…. .
Oggi sono preparate anche in versione dolce con della pasta da biscotti (Panareddhra). Ma non è stato sempre così: originariamente, infatti, erano preparate con della comune pasta di pane sagomata a forma di colomba, panierino, galletto, bambola e guarnite con uova con il guscio. La pasta veniva semplicemente pennellata in superficie con l’uovo sbattuto per conferirgli un aspetto lucido, esteticamente più accattivante. Era un pane rituale e come tale non si pretendeva che dovesse avere un sapore particolarmente grato. In passato, durante la Quaresima si manteneva uno stretto digiuno durante il quale era rigorosamente vietato “‘ncammarare” ovvero consumare carne uova e persino formaggio, quindi quando il mezzogiorno del Sabato Santo cadeva il panno e le campane annunziavano la Resurrezione, si rompeva immediatamente il digiuno, mangiando questa sorta di ciambella con le uova.
Quelle a forma di animale (solitamente galletto) o di bambola, venivano donate ai bambini e nessun giovane da ragazzo poteva esimersi dal regalarne una, generalmente a forma di panierino, alla “zita” . Tradizioni analoghe permangono nelle altre province della Puglia, ma anche in Grecia e, soprattutto, in Albania.
In Puglia la tradizione è ancora molto osservata ma oggigiorno è più probabile che siano preparate a base di pasta dolce.
Nel prossimo articolo, illustrerò la vasta gamma di dolci con i quali concluderò il quadro della gastronomia salentina.
continua