Eventi nel Salento ad Aprile 2019
1 Luglio 2015Tra sacro e profano, la magia della “Fòcara” di Novoli
15 Gennaio 2016“ Cu la còppula scattusa
zzumpa ssu lla panza cu tte ncusa.
Uru, uru malitettu, a ddhu hai scusu lu scarfaliettu
cu li ori te la sciara?
Nu nc’ è cceddhi cu te para…?
Ma se te rrubbu lu scursettu
me l’hai dare lu scarfaliettu!”
(Col berretto sgargiante / salta sulla pancia per accusarti //. Uru, uru maledetto, / dove hai nascosto lo scaldaletto / con gli ori della strega? / Non c’è nessuno che ti eguagli? / Ma se ti rubo il berretto / devi darmelo lo scaldaletto!).
Chi è il protagonista di questi versi in dialetto salentino? . Lo studioso Castromediano ci ha lasciato una descrizione minuziosa e preziosa del magico personaggio: ” è un essere che preoccupa la mente degli sciocchi. Irritante ed irritabile, danneggia e benefica, secondo capriccio, è il Dio Lare di quei tuguri che sceglie a dimora. E già lo Uru suole impossessarsi d’un abitacolo scendendo dai tubi fumaioli d’un camino. Infatti le cento volte ho sentito dipingerlo basso, anzi piccin piccino, gobetto, con gambe un po’ marcate in fuori, peloso di tutta la persona, ma d’un pelo morbido e raso. Copregli il capo un piccolo cappelletto a larghe tese e indossa una corta tunica affibbiata alla cintola. I piedi poi… non so nulla dei suoi piedi per non averli mai visti.
In fin dei conti l’Uru altro non è se non uno di quei folletti tra il bizzarro e l’impertinente, tra lo stizzoso e lo scherzevole, cattivo con chi lo ostacola o sveli le sue furberie, condiscendente, anzi benefico, con chi gli usa tolleranza. Bazzica più volentieri nelle stalle, dove ospitatosi una volta difficilmente ne esce. Impadronitosi di una di esse tosto s’innamora della cavalla o dell’asina che meglio gli garba e l’assiste e la carezza di preferenza, nutrendo della biada sottratta alle compagne, o rubata ai presepi prossimi o lontani. È da notare che la bestia favorita gode l’alto onore di essere da lui stesso strigliata, lisciato il pelo ed intrecciati graziosamente i crini del collo e della testa.
Di giorno non appare giammai, esercita di notte le sue trappolerie. Se poi s’impossessa di un’abitazione, s’appiatta nei luoghi più reconditi, per lo più nel sacernale (trave maestra del tetto). Di là nella notte spicca il salto e cade giù producendo un tonfo sordo come pantofola scagliata contro un muro.
Talaltra volta, scapolato quatto quatto da buchi inosservati, o da catasta di vecchie quisquiglie eccolo a metter sossopra masserizie ed annessi, cambiandogli di luogo, a sparecchiar gomitoli e tele del telaio o a svegliar le persone, rompendo piatti, bottiglie, bicchieri.
Guai se è in collera col suo ospite. Se questi dorme i suoi sogni dorati, questi improvviso gli cavalca il petto e glielo calca fino a fargli perdere il respiro (incubo). È un brutto momento, uno di quelli in cui si crede di morire. Ma se l’oppresso riesce a vincere l’affanno e stende la mano sull’oppressore, ghermirlo per ciuffetto e tenerlo fermamente, fortunato lui! La sua sorte è fatta! L’Uru è geloso fino alla morte della propria libertà e ghermito così piange e prega e tutto promette a riaverla. Non gli si chiegga danaro allora, perché vi colmerebbe di cocci; meglio chiedergli cocci che vi subisserà di danaro.
Ad interpretare un tal nome dovremmo investigare nel latino, nel greco ed anche nell’ebraico. Più di rado lo chiamano moniceddhu (monacello) o scazzamurrieddhu“.
Qual’era la loro origine? Lo storico De Simone era dell’opinione che tali creature fossero “ le anime dei buoni antenati della famiglia, legate strettamente alla casa che si curano di proteggere; come questi, accompagnano sempre e dovunque della casa avita, giri o emigri dovunque la famiglia”. Secondo alcuni leccesi, i Laurieddhi sarebbero, invece, gli spiriti dei bambini morti prematuramente e non battezzati. I Lauri se buoni potevano essere generosi e d’aiuto alla famiglia ed ai contadini, tenendo, ad esempio, gli animali selvatici lontano dai campi, vegliando ai frantoi ipogei, riempiendo di caramelle le culle dei bambini. I Lauri maligni, invece, si divertivano ad intrecciare le criniere dei cavalli ed a togliere il respiro dormendo sul petto delle persone. Il termine Carcaluru proverrebbe proprio da quest’abitudine del folletto di calcare e premere al di sopra, provocando malessere, oppressione e pesantezza. Pare che alle fanciulle, similmente alla tarantola, potesse pizzicare il mal d’amore. Lo Scazzamurrieddhu (dal verbo salentino scazzicare, cioè smuovere) custodirebbe preziosi scrigni e tesori nascosti, la cosiddetta acchiatura, al di sotto di pietre campestri o nei palazzi gentilizi. La tradizione e le cronache orali del popolo narrano che i folletti salentini siano stati avvistati nelle case, nei boschi, nelle vicinanze dei dolmen, dei menhir, delle specchie e delle chiese e sempre altre tradizioni ci dicono che il laurieddhu ponga ai più fortunati con i quali ha avuto uno scambio di parole, un facile quesito: vuoi soldi o pentole?. Naturalmente, essendo di natura dispettosa, il folletto dispenserà pentole a chi chiede soldi e soldi a coloro (pochissimi, crediamo…)che scelgono le pentole.
In molti, quindi, giurano di averlo visto, o per lo meno di aver visto gli effetti delle sue marachelle, per le quali esisteva solo un rimedio: riuscire ad impossessarsi del suo preziosissimo cappello anche se era un’impresa davvero difficile.
Il cappello era, infatti, il suo punto debole: privato del suo berretto, il folletto avrebbe fatto di tutto per riottenerlo, anche far scaturire monete e gioielli dal sottosuolo e, soprattutto realizzare positivamente gli sforzi per il ritrovamento dell’acchiatura; Si trattava però di un’impresa davvero difficile. Possibile solo all’alba, perché di notte il lauro risultava imbattibile mentre di giorno scompariva. In caso di riuscita, si sarebbe visto un cambiamento repentino nel comportamento dello scazzamurreddhu, trovandosi così di fronte un esserino dolce e simpatico, elargitore di promesse relative alla scoperta di fantastici tesori in cambio del suo copricapo. Naturalmente sarebbe stato solo un trucco, ma molti ci cascavano e il folletto dispettoso tornando in possesso del suo prezioso copricapo poteva ricominciare a tormentare le sue vittime. “Per riavere il cappuccio rosso, senza cui non può vivere, il monachicchio ti prometterà di svelarti il nascondiglio di un tesoro. Ma tu non devi accontentarlo fino a che non ti abbia accompagnato; finché il cappuccio è nelle tue mani, il monachicchio ti servirà, ma appena riavrà il suo prezioso copricapo, fuggirà con un gran balzo, facendo berleffi e folli salti di gioia, e non manterrà la sua promessa”. (Levi, cit., p. 128).
I leccesi credevano che si potesse allontanare lo spirito di un lauro semplicemente mettendo sull’uscio della porta di casa una staffa di cavallo e corna di bue o di montone. Per molti diventava un vero incubo, e leggendo le parole di Carlo Levi se ne intuisce ancora una volta il motivo: ” fanno il solletico sotto i piedi agli uomini addormentati, tirano via le lenzuola dei letti, buttano sabbia negli occhi, rovesciano bicchieri pieni di vino, si nascondono nelle correnti d’aria e fanno volare le carte e cadere i panni stesi in modo che si insudicino, tolgono le sedie di sotto alle donne sedute, nascondono gli oggetti nei luoghi più impensati, fanno cagliare il latte, danno pizzicotti, tirano i capelli, pungono e fischiano come zanzare”.
C’era una volta una Massara che viveva sola in casa, il marito infatti era morto molti anni prima e lei, durante la notte, aveva un po’ paura perché sentiva dei rumori strani.
Alla fine scoprì che c’era lu laurieddhu, un folletto dispettoso. che si divertiva a farle degli scherzetti. Ogni mattina infatti trovava la coda del cavallo intrecciata, il sale nel barattolo dello zucchero e così via….
Non ne poteva più e decise di cambiare casa.
Dopo aver fatto tutto il trasloco, stanca ma felice di essersi liberata del dispettosissimo laurieddhu, stava per dare l’addio alla vecchia casa, quando, sentendo dei rumori dietro di sè si voltò e vide il laurieddhu che, tutto festoso, saltellando con la scopa in mano, gridava “Sta’ cangiamu casa, sta’ cangiamu casa!” (Stiamo cambiando casa!).
A Matino, tal Vito De Pascali, che lavorava in un trappitu (frantoio) quale sorvegliante, avvistò di notte lo scazzamurrieddhru che trasportava l’olio da uno zinnu di proprietà di un agricoltore a quello del fratello di lui, un prete. Il sorvegliante, atterrito da quella visione e dal bagliore che emanavano gli occhi del folletto, si ammalò e non riusciva a spiegare chi fosse l’autore del furto, poiché, quando stava per pronunciare la parola lu monacieddu, veniva colto da intensi brividi. Il pover’uomo si rimise solo quando il prete ebbe restituito al legittimo proprietario, il fratello agricoltore, la quantità d’olio a lui sottratta dallo scazzamurrieddhru.
P.s il nostro folletto salentino fu celebrato anche dal grande Domenico Modugno nel 1954 in una delle sue primissime incisioni discografiche in dialetto san pietrano (San Pietro Vernotico) intitolata ” Lu Scarcagnulu”, il nome usato nel brindisino per indicare la dispettosa creatura
https://youtu.be/NelNxN0YqVs